venerdì 3 gennaio 2014

Un rododendro racconta la sua storia

Non capita spesso che una pianta racconti la storia della sua vita, anzi non ricordo sia successo prima d’ora.
Non è neanche facile scrivere in modo che gli umani capiscano, sanno molto poco di noi piante.
Non sanno ad esempio che sappiamo riconoscerli.
Devo dire che alcuni, raramente, ci parlano, anche se è inutile, noi non possiamo sentire la loro voce, come altri rumori, siamo però in grado di sapere perfettamente cosa pensano, ed è molto meglio, il pensiero non è mai logorroico, e non contiene bugie. Gli umani sono molto più limitati, mi pare che non siano in grado di capire neanche i loro stessi pensieri.
Io sono nato nel 2003. Ma non sono nato da un seme, e qui mi trovo in difficoltà a spiegare, anche a me stesso. Allora c’era (e spero ci sia ancora) un bel rododendro in un importante giardino botanico. Non era molto osservato dai visitatori. La pianta di sviluppo contenuto, i fiori piccoli, non attirava l’attenzione. Non si metteva in mostra.
Un giorno, tra i vari visitatori passa “l’uomo con la barba”. Ogni tanto compariva, e l’avevamo già notato, abbiamo una memoria di ferro noi. E gli avevamo affibbiato quel nome. Era stato notato perché di solito riservava le sue attenzioni a piante meno vistose, ma era anche un po’ temuto, correva voce che ogni tanto avesse l’abitudine di staccare un rametto a qualche pianta.
Quel giorno si fermò nuovamente ad osservare il rododendro, parlò con il capo giardiniere, che spesso lo accompagnava nei suoi giri, poi mise una mano in tasca e trasse un paio di forbici da potare. Terrore! Al rododendro, si accapponò la corteccia, le piante si spaventano quando si avvicina un umano con le forbici in mano. L’uomo si chinò, osservò, tastò, poi... confusamente, come nella nebbia, ricordo per un attimo un vivissimo dolore; con un taglio netto asportò un piccolissimo rametto, tre quattro foglioline solamente.
Da quel momento in avanti, per molto tempo tutto è stato molto confuso, ovattato.
Quel rametto ero io, per la prima volta avevo dei pensieri miei! Non ero più parte di una pianta, avevo una mia anima, ma ero in uno stato credo simile a quello che gli umani chiamano “coma vigile”.
In realtà i ricordi sono flebili e lontani, come erano le mie sensazioni allora, ma ricordo tutto. Devo dire che, con molto tatto, mi mise in un sacchetto di nylon, spruzzò un po’ di acqua, rinchiuse il sacchetto è poi fu buio.
Non sentivo più dolore, solo una specie di formicolio nel punto dove ero stato tagliato.
La mia coscienza era molto limitata e confusa. Può essere difficile da capire, ma anche da spiegare: pensavo, ragionavo, ed era una cosa nuova, per certi versi incomprensibile.
Dopo un certo tempo che non ricordo, rividi la luce; sempre le sue mani, sempre le forbici da potare vicino, in più uno strano coltello e altri oggetti, tutto, me compreso su di un tavolo.
Poi l’uomo con la barba si allontanò e ritornò con due vasi con una pianta in ognuno.
Io non avevo paura, stante il mio stato di torpore, però vedevo e capivo tutto. Con mani abili e veloci rapidamente asportò qualche rametto basso alle due piante nei vasi, mi prese in mano, mi tagliò praticamente in due, fece una specie di punta alla base di uno dei due pezzi, incise il tronchetto di una delle piante in vaso e mi inserì dentro. Con un elastico mi legò stretto. Tutto questo si svolse in pochi secondi, poi mi trovai in una serra.

Sorpreso, sgomento, con i sensi attutiti, sempre però ben presente, cominciai a guardarmi attorno. Molti vasi erano vicini, con essenze diverse, che non conoscevo. Un’umidità pesante mi opprimeva, e quello strano formicolio alla base si era accentuato.
Ero “piantato” sopra, dentro un altro arboscello, che non pareva contento di ospitarmi; d’altronde, era stata ferito anche lui poveretto.
Per parecchio tempo rimasi in una specie di dormiveglia, quello strano formicolio nel punto dove ero unito gradualmente si stava riducendo.
Poi un giorno mi svegliai completamente, le mie gemme si stavano aprendo, stavano sviluppandosi.
L’uomo con la barba passava spesso, si metteva gli occhiali e osservava con attenzione non solo me, ma anche i miei vicini, tutti “operati” allo stesso modo.
La pianta che mi ospitava cominciò, con garbo, a lamentarsi con me, anche a lei stavano crescendo le gemme, ma appena si allungavano compariva l’uomo con la barba e gliele asportava. Una sofferenza per lei, che mi metteva a disagio.
Vi era una specie di conflitto di personalità tra me e lei, non si capiva dove finiva lei e dove iniziavo io. Col passare dei mesi io - grazie alle costanti attenzioni del giardiniere - presi il sopravvento. Ora, dopo tre anni, la pianta che mi ospita non si nota più, viviamo in armonia, anche se la mia personalità l’ha, involontariamente, completamente sovrastata.
Ho scoperto che si chiama, Rhododendron ‘itheophyllum’.
Ho anche scoperto di avere un fratello, nato dallo stesso rametto; quando all’inizio il giardiniere mi tagliò in due, preso dalle troppe emozioni, non avevo notato che l’altro pezzetto era stato inserito, allo stesso modo, su un’altra piantina.
Siamo vicini, ci facciamo compagnia. Lui è stato meno fortunato di me, è stato “innestato” (ho imparato in seguito che questo è il nome dell’operazione che avevo subito) su un’altra specie di pianta, un Rhododendron ‘blu diamond’. I due non hanno stabilito una serena convivenza, un buon equilibrio tra di loro, e il punto dove sono stati uniti ne risente, manifestando come un gonfiore.
Ora viviamo sotto un ombraio, insieme ad un folto gruppo di piante innestate, dei più svariati generi e specie. Ci sentiamo delle privilegiate, l’uomo con la barba ci presta molte più attenzioni di quelle che dedica agli ombrai vicini, e soprattutto... non ci vende!
Un giorno, ho saputo che il mio nome è Rhododendron razorbill, ma con disappunto ho anche appreso che non sono una “specie” ossia figlio, nipote, di una pianta esistente in natura, ma il frutto di chissà quale incrocio, mutazione o esperimento di qualche umano.
Spesso vengono visitatori, e si soffermano proprio a guardare il gruppo degli innestati. Pare sia molto apprezzata la nostra accoppiata, piace il tronco dell’itheophyllum, con la caratteristica corteccia - rara per un rododendro - che si sfoglia; sento spesso dire: che bello, sembra un bonsai. Mi infastidisce un po’ questo accostamento. Ho sempre pensato ai bonsai come sfortunate piante torturate, anche se alcuni di essi sono molto fieri e ammirati.
Voglio ancora dire che molti pensano che le piante in vaso vivano come in prigione, non è vero, se abbiamo il terriccio giusto, il concime adatto, i normali rinvasi, viviamo bene, però... in un continuo stato di apprensione! Il terrore delle piante in vaso è l’irrigazione. Se in estate si dimenticano di bagnarci per un paio di giorni, siamo morte! E che brutta morte. Una lenta agonia. Al contrario, spesso siamo bagnate troppo con seri guai per la nostra salute.
Noi abbiamo il dente avvelenato con quelli che vanno in giro con le forbici e hanno l’abitudine di tagliarci rami. Ma io ci sono grazie a quell"abitudine", e posso raccontare questa mia storia.




1 commenti:

taro ha detto...

Hai fatto bene oggi a ricordarmi la favola del rododendro. L'avevo letta rapidamente la prima volta che la pubblicavi, ma poi ho dimenticato di tornarci sopra per leggerla meglio. Bellissima! Come in tutti i tuoi racconti c'è sempre quest'universo di "piante pensanti"...
Sicuramente al signor Andersen, un esperto di piante, avrebbe fatto piacere conoscerti ; )