Case&Country marzo 2012
Si parla molto delle erbe spontanee che si possono usare per cucinare, in proposito sono stati scritti diversi libri, anche recentemente, quasi fossero state appena scoperte, o magari riscoperte, visto che le nostre nonne già conoscevano e usavano le più importanti.
Forse il più conosciuto è il dente di leone Taraxacum officinalis, detto comunemente girasole; in questo mese nei prati alla periferia delle città si vedono frotte di raccoglitori con il coltello e la borsa. Squisito in insalate, a condizione che sia giovane e tenero, altrimenti è meglio bollirlo. Pochi sanno che si può, con i suoi fiori, fare un miele finto, che non ha nulla da invidiare al vero se preparato bene.
Brevemente questa è la ricetta:
100 fiori di tarassaco - mezzo kg di zucchero - mezzo litro di acqua - un limone.
Bollire per un quarto d'ora i fiori con il limone tagliato a pezzi, lasciare raffreddare strizzare e filtrare, aggiungere lo zucchero e fare bollire a fuoco lento fino a quando si è addensato al punto giusto, praticamente deve essere “filante” come il miele, e questa è la parte più difficile; troppo denso tenderà a cristallizzare, poco denso a rimanere liquido.
Meno conosciuto è un suo parente, Crepis vesicaria che io, in insalata, trovo ancora più buono del dente di leone. Si tratta di una pianta biannuale, simile al tarassaco ma con le nervature delle foglie pelosette, da qui il nome, in piemontese, di “plison”. Tutti e due hanno proprietà medicinali.
Silene vulgaris
Fino ad ora eravamo in gusti amarognoli, ora passando alla Silene vulgaris, nei vari dialetti strigoli o cuiet, incontriamo un delicato sapore che richiama il pisello. Si trovano nei prati piuttosto asciutti e si raccolgono solo gli ultimi 5/6 centimetri dei germogli, prima che vadano in fiore. Un'erba dalla forte radice che vive per molti anni. In cucina si parte da una leggera bollitura dei germogli, che poi lascia il posto alla fantasia; dal semplice filo di olio alle frittate ecc.
Al primo posto metterei però la barba di becco Tragopogon pratensis, si raccoglie tagliando la radice in profondità, perché anche questa è squisita. Come per la silene il primo passo resta sempre una leggera bollitura poi, ad esempio, si può passare in padella come per i turioni degli asparagi.
E allora parliamo di asparagi, quelli selvatici. Non si trovano nei prati freschi delle pianure o prealpi, ma prediligono ambienti mediterranei, anche alberati, sono però in grado di crescere anche al nord, purché il terreno sia drenante e in posizioni ben esposte. Si raccolgono in primavera, quando sono teneri e gli esili getti si “rompono” appena piegati. In cucina nel risotto sono una leccornia
3 commenti:
Grazie Renato, ci voleva questo post. Io tempo fa avevo scritto della valerianella locusta (a Verona chiamata "molesino"). C'è molta voglia di "riscoprire" ciò che per le nostre nonne era quotidianità. Quando vedo le erbe selvatiche, mi rammarico di non sapere a volte come si chiamano. Anzi, mi vergogno proprio.
Ottimo il miele ma ottimi anche i boccioli sott'olio che noi usiamo come sfizioso antipasto.
Non conoscevo il miele di fiori in pentola! Mi farebbe anche curiosità provarlo! Molto interessante
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