L’acero e il carpino
Vi fu un tempo lontano in cui gli alberi camminavano.
Potevano, agli occhi nostri, sembrare goffi, ma tanto nessun altro essere vivente c’era a vederli.
Si spostavano con movimenti lenti. I grandi faggi, con il loro intrico di radici superficiali, quasi strisciavano sul terreno con un tremolio simile ai millepiedi. Le mangrovie erano un po’ ridicole, sembravano maldestri giocolieri sui trampoli, incespicavano spesso con le loro troppe e alte radici.
Il fico delle pagode “se la tirava un po” il suo non era un camminare, ma un incedere dall’alto delle sue radici che parevano imponenti colonne. Ai suoi piedi aveva sempre uno stuolo di alberelli e arbusti che, ognuno a modo suo, gli trotterellava accanto; sembravano suoi devoti sudditi, in realtà erano solo alla ricerca di ombra costante, perché erano qualità di piante che non sopportavano i raggi del sole.
I rampicanti poi... qualcuno strisciava come una biscia. I rovi avevano un modo strano per spostarsi, poggiando la punta arcuata dei rami a terra facevano dei buffi saltelli.
Parlavano anche tra di loro, si incontravano, si frequentavano e queste loro facoltà contribuirono ad alimentare simpatie, ma anche gelosie e invidia; pare proprio che l’intelligenza spesso non venga usata per migliorare l’armonia.
Questa promiscuità poteva portare qualche problema, e col tempo alla fine... accadde!
Un acero si innamorò di un carpino!
Non posso criticarlo, anch’io sono innamorato non di un carpino ma di molti carpini.
Non so come fosse il carpino che fece palpitare il nostro acero; so però come sono i carpini che amo; hanno il tronco irregolare, contorto, ma che irradia un senso di caparbia forza, come dico io, hanno l’aspetto “vissuto”.
L’acero disdegnava i suoi simili, voleva solo più stare con il suo carpino, che in verità era un po’ imbarazzato, non capiva bene l’eccessiva simpatia manifestata dall’acero, ma lo accettava; si sa, i carpini sono molto pazienti e saggi.
Ma gli altri carpini, e soprattutto gli aceri, non riuscivano a capire questo inspiegabile comportamento. Più di tutti una giovane carpinella era infastidita da questo alberello, di un’altra razza, sempre tra i piedi; anche lei provava simpatia per il medesimo carpino.
I genitori dell’acero erano molto preoccupati, il comportamento del loro figliolo li metteva in imbarazzo. Cercarono più volte di parlargli, dicendogli:
- Non comportarti così, cosa diranno gli altri alberi ? (questa frase è poi stata copiata dagli umani ed è diventata: cosa dirà la gente?) Ma lui non ascoltava ragioni.
Ormai passava tutto il suo tempo con i carpini, che finirono pian piano con l’accettarlo come un loro simile. Il piccolo acero voleva diventare realmente un carpino e ce la metteva proprio tutta; si sforzava in ogni modo per cambiare, e ad ogni primavera le nuove foglioline che spuntavano assomigliavano sempre più a quelle dei carpini, finché, dopo molti anni, le foglie erano ormai uguali.
Molto tempo è trascorso da quando avvennero questi fatti. Ora le piante non camminano più, quindi non può più capitare che un albero corra dietro ad un altro, creando qualche disagio. In cambio ci sono i disegnatori di giardini e i giardinieri, che spesso sistemano vicino piante che non hanno proprio nulla da dirsi. Potessero ancora camminare gli alberi, io credo che ne vedremo delle belle nei giardini di oggi! Vedremmo una processione di ulivi dalla pianura Padana dirigersi verso il mare e una fila di abeti trotterellare invece verso la più vicina montagna, ma ci sarebbero anche piccoli spostamenti, come per esempio l’arbusto che ama il sole allontanarsi dall’ombra dove è stato erroneamente piantato e viceversa.
E il nostro acero con le foglie del carpino? Così è rimasto anche ai tempi nostri, tant’è che gli uomini lo hanno chiamato Acer carpinifolia. Ma una differenza è rimasta per distinguerlo dai carpini, è riuscito ad avere le foglie uguali, ma non a cambiare il modo come sono inserite sui rametti. Infatti a distinguerlo come acero, le sue foglie sono rimaste opposte a due a due, non alternate come nei carpini.
Vi fu un tempo lontano in cui gli alberi camminavano.
Potevano, agli occhi nostri, sembrare goffi, ma tanto nessun altro essere vivente c’era a vederli.
Si spostavano con movimenti lenti. I grandi faggi, con il loro intrico di radici superficiali, quasi strisciavano sul terreno con un tremolio simile ai millepiedi. Le mangrovie erano un po’ ridicole, sembravano maldestri giocolieri sui trampoli, incespicavano spesso con le loro troppe e alte radici.
Il fico delle pagode “se la tirava un po” il suo non era un camminare, ma un incedere dall’alto delle sue radici che parevano imponenti colonne. Ai suoi piedi aveva sempre uno stuolo di alberelli e arbusti che, ognuno a modo suo, gli trotterellava accanto; sembravano suoi devoti sudditi, in realtà erano solo alla ricerca di ombra costante, perché erano qualità di piante che non sopportavano i raggi del sole.
I rampicanti poi... qualcuno strisciava come una biscia. I rovi avevano un modo strano per spostarsi, poggiando la punta arcuata dei rami a terra facevano dei buffi saltelli.
Parlavano anche tra di loro, si incontravano, si frequentavano e queste loro facoltà contribuirono ad alimentare simpatie, ma anche gelosie e invidia; pare proprio che l’intelligenza spesso non venga usata per migliorare l’armonia.
Questa promiscuità poteva portare qualche problema, e col tempo alla fine... accadde!
Un acero si innamorò di un carpino!
Non posso criticarlo, anch’io sono innamorato non di un carpino ma di molti carpini.
Non so come fosse il carpino che fece palpitare il nostro acero; so però come sono i carpini che amo; hanno il tronco irregolare, contorto, ma che irradia un senso di caparbia forza, come dico io, hanno l’aspetto “vissuto”.
L’acero disdegnava i suoi simili, voleva solo più stare con il suo carpino, che in verità era un po’ imbarazzato, non capiva bene l’eccessiva simpatia manifestata dall’acero, ma lo accettava; si sa, i carpini sono molto pazienti e saggi.
Ma gli altri carpini, e soprattutto gli aceri, non riuscivano a capire questo inspiegabile comportamento. Più di tutti una giovane carpinella era infastidita da questo alberello, di un’altra razza, sempre tra i piedi; anche lei provava simpatia per il medesimo carpino.
I genitori dell’acero erano molto preoccupati, il comportamento del loro figliolo li metteva in imbarazzo. Cercarono più volte di parlargli, dicendogli:
- Non comportarti così, cosa diranno gli altri alberi ? (questa frase è poi stata copiata dagli umani ed è diventata: cosa dirà la gente?) Ma lui non ascoltava ragioni.
Ormai passava tutto il suo tempo con i carpini, che finirono pian piano con l’accettarlo come un loro simile. Il piccolo acero voleva diventare realmente un carpino e ce la metteva proprio tutta; si sforzava in ogni modo per cambiare, e ad ogni primavera le nuove foglioline che spuntavano assomigliavano sempre più a quelle dei carpini, finché, dopo molti anni, le foglie erano ormai uguali.
Molto tempo è trascorso da quando avvennero questi fatti. Ora le piante non camminano più, quindi non può più capitare che un albero corra dietro ad un altro, creando qualche disagio. In cambio ci sono i disegnatori di giardini e i giardinieri, che spesso sistemano vicino piante che non hanno proprio nulla da dirsi. Potessero ancora camminare gli alberi, io credo che ne vedremo delle belle nei giardini di oggi! Vedremmo una processione di ulivi dalla pianura Padana dirigersi verso il mare e una fila di abeti trotterellare invece verso la più vicina montagna, ma ci sarebbero anche piccoli spostamenti, come per esempio l’arbusto che ama il sole allontanarsi dall’ombra dove è stato erroneamente piantato e viceversa.
E il nostro acero con le foglie del carpino? Così è rimasto anche ai tempi nostri, tant’è che gli uomini lo hanno chiamato Acer carpinifolia. Ma una differenza è rimasta per distinguerlo dai carpini, è riuscito ad avere le foglie uguali, ma non a cambiare il modo come sono inserite sui rametti. Infatti a distinguerlo come acero, le sue foglie sono rimaste opposte a due a due, non alternate come nei carpini.
2 commenti:
bella storia, anch,io amo gli alberi, li abbraccio spesso e parlo con loro,
Confermo! È senza dubbio una delle più belle favole botaniche di Renato. Non mi stanco mai di rileggerla.
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